Finalmente! Don Ciotti è finito nella morsa di un vescovo e di un procuratore

Cristo non ha voluto il sacerdozio per combattere la criminalità organizzata e difendere la legalità.

Non c’è pace per don Luigi Ciotti, prete irruente. Forse troppo? Ha bacchettato quei vescovi che non sono intervenuti, a suo parere, con la necessaria energia in occasione delle processioni con inchini dinanzi alle case dei boss o del matrimonio con l’elicottero atterrato in piazza. C’è chi si è risentito e tra essi il vescovo di Patti (fa parte della città metropolitana di Messina), monsignor Ignazio Zambito, che non digerisce il rimbrotto e quindi sbotta: «Don Ciotti si occupi delle cose sue, non dica ai vescovi quello che devono fare. […]». Ma il vescovo va oltre nel contestare don Ciotti e lo fa su un giornale cattolico, La fede quotidiana: «Don Ciotti è definito un prete antimafia ma queste definizioni non mi piacciono. Il sacerdote non è contro qualcuno ma per la conversione. Oggi sentiamo parlare di peccati contro la legalità, la natura e simili, indubbiamente è giusto. Sono cose politicamente corrette che fanno guadagnare gli applausi facili, specie ai soliti amanti degli spettacoli televisivi. Sento tuttavia parlare poco dell’aborto e se lo ricordi non scattano i battimani, vieni ritenuto vecchio e medioevale o scarsamente sociale. Spesso facciamo una morale a senso unico che segue quanto piace o quanto il mondo vuole sentirsi dire. Per esempio ho letto che proprio in Sicilia un sacerdote sull’altare ha benedetto una coppia di lesbiche. Siamo alla profanazione, un gesto sacrilego. La benedizione non si nega ma questa non deve confondere o dare scandalo ai fedeli, corrompere linguaggio e morale». […] Parole chiare, non c’è che dire. […] Qualche tempo fa il sostituto procuratore della Dda di Napoli, Catello Maresca, puntò il dito contro don Ciotti e la sua associazione Libera: «Se un’associazione, come Libera, diventa troppo grande, acquisisce interessi che sono anche di natura economica, e il denaro spesso contribuisce a inquinare l’iniziale intento positivo, ci si possono inserire persone senza scrupoli che approfittando del suo nome per fare i propri interessi. Libera gestisce i beni confiscati alle mafie attraverso cooperative non sempre affidabili, spesso in regime di monopolio e in maniera anticoncorrenziale». Don Ciotti ha querelato il magistrato («tanto fango fa il gioco dei mafiosi. Lo abbiamo denunciato perché si tace una, due, tre volte ma quando viene distrutta la dignità del lavoro di tante persone, è un dovere ripristinare la verità») però ammette (dinanzi alla commissione parlamentare antimafia): «Il tema dell’infiltrazione è reale, le nostre rogne sono iniziate con i 17 processi in cui siamo parte civile, lì ci sono situazioni complesse e questo ci ha creato qualche problema. Altri problemi vengono dalle cooperative, cammin facendo abbiamo scoperto che delle situazioni erano mutate. Adesso ogni 6 mesi chiediamo la verifica ma qualche tentativo di infiltrazione c’è ed è trasversale a molte realtà. Libera è 1600 associazioni e qualche tentativo, qualche ammiccamento c’è stato. Abbiamo allontanato dal consorzio realtà che non avevano più i requisiti ed esse sono le prime a gettare fango contro di noi. Chiediamo alle autorità di aiutarci». Certo non è facile operare border line e in una trincea dove molti, anche sacerdoti, hanno pagato con la vita. Ma questo confronto-scontro tra il «prete antimafia» e la gerarchia va registrato. Anche perché la voce del vescovo di Patti non è isolata. Interviene per esempio lo scrittore messinese Nino Lo Iacono: «Quando nel 1972 il cardinale Michele Pellegrino ordinò sacerdote Luigi Ciotti gli assegnò come parrocchia la strada, dando a tale decisione un significato preciso: la strada era ed è rimasta scuola di vita ed a tale scuola il neo sacerdote avrebbe dovuto attingere. Questo prete di strada ha saputo capitalizzare nel tempo tutte le esperienze fatte, iniziando con associazioni come il Gruppo Abele per finire a una specie di holding che gravita intorno a Libera. L’attività antidroga e antimafia è diventata un impegno primario e il sacerdote di strada si è trasformato in un personaggio. Il palcoscenico della così detta antimafia di Stato gli è da supporto per incassare applausi di rito e penso che egli abbia passato più tempo dietro i microfoni che dietro gli altari o in mezzo ai poveri». […]

(di Carlo Valentini, Italia Oggi, 29-09-2016)

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